IMMAGINI FERME IN MOVIMENTO

 

Astrid Wege
Sulle opere video di Martina Wolf

I. Gli zampilli si levano in alto nel cielo, formano una scintillante parete d’acqua e pochi secondi dopo ricadono lentamente su sé stessi. Dietro la fontana a getto si distingue una scultura sopra un alto piedistallo. Rappresenta Lenin in una posa dinamica, la mano destra protesa in avanti. Per 28 minuti la telecamera riprende la danza dell’acqua, facendo comparire e riscomparire la statua di Lenin dietro il velo d’acqua: un esercizio di percezione contemplativa e al contempo un’immagine perfetta per i processi del ricordo e della dimenticanza.

“Il passato è sempre nuovo”, scriveva Italo Svevo all’inizio del XX secolo. “Come la vita procede esso si muta perché risalgono a galla delle parti che parevano sprofondate nell’oblio mentre altre scompaiono perché oramai poco importanti. […] Nel presente riverbera solo quella parte ch’è richiamata per illuminarlo o per offuscarlo.” [1] Il passato viene (ri)costruito dal punto di vista del presente e così si giunge, come constata la studiosa di letteratura Aleida Assmann nel suo libro Erinnerungsräume, “inevitabilmente ad uno slittamento, una deformazione, una deturpazione, una rivalutazione, un rinnovamento di quanto ricordato al momento in cui viene richiamato alla memoria.” [2] Il ricordo pertanto non è mai obiettivo. Ciò che viene ricordato e come questo avviene è piuttosto una forma di “accertamento di sé”, come singola persona e come collettività. Quali eventi vengono inglobati in questa storia collettiva e personale e quali invece restano esclusi è sempre anche una lotta per la propria identità e, soprattutto in fasi di radicali mutamenti, un indicatore della relativa situazione politica e sociale di una comunità. Con un ampio gesto Lenin afferma dunque il proprio posto nella San Pietroburgo post-socialista. Diversamente dagli anacronistici monumenti pubblici del socialismo che sono raccolti in un parco di sculture nella Nuova Galleria Tretjakow di Mosca, la sua immagine è tuttora onnipresente nella Russia odierna e lungi dall’essere dimenticata. Eppure l’opera video di Martina Wolf LENIN. Sankt Petersburg (LENIN. San Pietro­burgo) del 2009 illustra in un modo esemplare, tanto semplice quanto sottile, che se (e come) qualcosa si palesa o piuttosto viene perso di vista, è oggetto di percezione e valutazione, è una questione mutevole che dipende dalla relativa prospettiva, dal contesto e dalla messa in scena. [3]

In un’opera video realizzata nello stesso anno, il leader della rivoluzione comunista appare letteralmente sotto un’altra luce. Nel riflesso di un grande pannello video pubblicitario, in LENIN. Moskau (LENIN. Mosca) la sua statua risplende negli sfolgoranti colori del mondo delle merci e dei consumi. Lo sguardo del suo busto nella Stazione Leningrado di Mosca è rivolto direttamente verso il pannello pubblicitario, che tuttavia non compare nell’immagine. Martina Wolf stabilisce anche qui una posizione fissa della videocamera e sceglie come inquadratura una visione di profilo della testa su uno sfondo scuro e indefinito. Senza ricorrere a tagli, l’artista registra per la lunghezza di una striscia pubblicitaria le variazioni dei riflessi di colore verde, rosa o lilla sul volto di Lenin. Eseguita con il mezzo del video, la sequenza ricorda lontanamente i ritratti seriali delle star del pop e di Hollywood di Andy Warhol, tra cui egli annoverava anche Mao e Lenin, o anche i suoi film screen test. Il video della Wolf ritrae l’icona della rivoluzione russa nel bagliore del nuovo mondo delle merci, la mette in un certo qual modo in movimento tramite il mezzo del film. La statua sarà pure ferma, tuttavia il suo aspetto e la sua percezione mutano con l’ambiente circostante.

II. Il tema del ricordo e della cultura della memoria dalla prospettiva del presente è un motivo ricorrente nei lavori di Martina Wolf sin dal 2009 ed è strettamente connesso con la sua progressiva indagine delle strutture figurative e percettive. Così come in LENIN. Moskau traspone il mezzo statico della scultura in immagini filmiche in movimento ed elude al contempo le aspettative di una narrazione cinemato­grafica optando per una videocamera fissa e rinunciando a taglio e montaggio, in Sturm auf Berlin (Attacco a Berlino) [2009/10]
l’artista combina pittura, fotografia e video in una successione di trasposizioni mediali. Il punto di partenza della video installazione, che si compone di due singoli video, è Poklonnaya Gora, il Museo della Grande Guerra Patriottica di Mosca, luogo centrale della cultura statale della memoria nella Russia post-comunista. Approvato nel 1957 e inaugurato nel 1995 nell’era di Yeltsin, il museo monumentale della memoria è dedicato alla vittoria dell’Armata Rossa contro il fascismo e la Germania nazista nella seconda guerra mondiale: alla “Grande Guerra Patriottica”, come viene definita nella storiografia russa, una guerra di cui Martina Wolf, cresciuta nell’ex RDT, ricorda l’eroicizzazione. Soggetto centrale del video è uno dei sei diorami esposti nel seminterrato del museo. Esso rappresenta la Battaglia di Berlino del 1945, che portò alla capitolazione della Wehrmacht tedesca il 2 maggio 1945 e quindi alla fine della seconda guerra mondiale. L’occupazione dell’edificio berlinese del Reichstag il 30 aprile aveva ed ha una particolare forza simbolica per la storiografia russa. Il diorama rappresenta coerentemente una scena in cui, nella Berlino ridotta a macerie, due sottufficiali russi ricevono in mano la bandiera rossa che di lì a poco avrebbe sventolato sul frontone del Reichstag come simbolo della fine della guerra.

Martina Wolf sceglie due diversi approcci al suo soggetto. Al centro del suo primo video espone letteralmente il suo interrogativo di partenza su come viene percepito oggi il diorama. Con la videocamera statica filma per un’ora e mezza in tempo reale i visitatori – singole persone, coppie, intere classi scolastiche – che entrano nel campo della videocamera come in un palcoscenico, si soffermano davanti al diorama e poi escono di nuovo dall’inquadratura: un raddoppiamento ed una esibizione della situazione dell’osservatore, in un certo qual modo la messa in scena di una percezione di secondo livello, che adotta la vista panoramica del diorama e al contempo tematizza l’inquadratura della visione. Dalla posizione di osservatore inevitabilmente ci si rispecchia negli altri spettatori. La Wolf dota parzialmente il film di sonoro. Si sentono rumori di sottofondo, le spiegazioni di un’anziana insegnante che guida un gruppo di giovani nel museo e la registrazione radiofonica originale che viene trasmessa ogni tanto: la voce annuncia con pathos la resa di Berlino.

Mentre la Wolf mostra questa video sequenza in bianco e nero, mantenendo così il distacco nei confronti dell’accaduto in aggiunta alla posizione della videocamera e creando un ulteriore momento di distanza, il secondo film lo utilizza per uno studio dei dettagli: l’inquadratura si sposta lentamente sulle immagini della scena della battaglia dipinta, scandendo il movimento ed il ritmo della visione, creando un momento di suspense. Gradualmente fa comparire singoli elementi: le figure dei soldati che combattono, frammenti dei carri armati, il fuoco che divampa dal tetto del Reichstag … L’inquadra­tura estremamente vicina scompo
ne il panorama generale nei suoi singoli elementi e mette in risalto caratteristiche pittoriche, il ductus del pennello, la scelta croma­tica, le striature di colore. La rappresentazione realistica della scena si disgrega in superfici cromatiche e strutture astratte, al carattere appellativo di referenze contenutistiche concrete subentrano sensazioni pittoriche. Con nonchalance il film di Martina Wolf decostruisce la contrapposizione ideologica propagata durante la guerra fredda fra astrazione occidentale e realismo socialista tramite il mezzo dell’immagine in movimento. Già con la scelta del mezzo l’artista compie una mossa assolutamente ironica, dato che il film nell’Unione Sovietica fungeva da strumento di propaganda popolare, come illustrano altri due suoi lavori. In Tag des Sieges. Moskau, 9. Mai 2009 e in Tag des Sieges. Moskau, 9. Mai 2010 (Giorno della vittoria. Mosca), la Wolf mostra in uno scenario picture-in-picture un enorme monitor in uno spazio pubblico urbano, alla testa di ponte della strada che conduce alla Piazza Rossa. Spezzoni di filmati sulla seconda guerra mondiale scorrono sullo schermo e, come il diorama nel Museo Poklonnaya Gora, devono ricordare i meriti dell’Armata Rossa nell’anniversario della fine della seconda guerra mondiale. Le scene drammatiche ed eroiche in bianco e nero, riconosciute come spezzoni di film soltanto nel 2010, creano un forte contrasto con le bandiere colorate e la quotidianità della scena di strada circostante. [4]

Da un canto un confronto con l’ufficiale cultura della memoria nella Russia odierna, Sturm auf Berlin è al contempo una riflessione sul rapporto tra realismo e astrazione nell’arte ovvero sulla pittura e sulle immagini in movimento. La Wolf inserisce tuttavia un ulteriore anello nella catena di trasposizioni mediali. Riprende così il diorama di Mosca su Berlino dettaglio per dettaglio in circa 70 singole fotografie, successivamente montate in una grande immagine digitale che le è servita come base per il suo film: ciò che ha l’effetto di una lenta carrellata della videocamera, in realtà è stato realizzato con un programma di montaggio digitale. Anche per il suo gruppo di opere Wandfotografien (fotografie di pareti), realizzate tra il 2009 ed il 2011, l’artista ha lavorato con un procedimento di montaggio fotografico. Anche qui ha assemblato innumerevoli singoli fotogrammi in fotomontaggi di grande formato. [5] Questi montaggi digitali hanno per soggetto dei graffiti riverniciati nel centro storico di Mosca, un fenomeno che la Wolf ha avuto modo di osservare sempre più spesso durante i suoi ripetuti soggiorni a Mosca. Non gradendoli come messaggi subculturali e non potendoli tuttavia impedire mediante restrizioni, la città cerca di affrontare i graffiti in modo pragmatico. Li ricopre con colori ad olio e a dispersione, senza però riparare completamente le pareti. Il risultato sono serie di campi cromatici di diverse dimensioni e sfumature che seguono le scritte e i disegni e ricordano la pittura astratta. Le superfici di colore geometriche dai contorni irregolarmente sfrangiati si sovrappongono ai graffiti, ma non possono cancellarli completamente: sotto gli strati di colore si intravedono alcuni frammenti dei loro messaggi.

III. La tensione tra astrazione e concrezione messa qui in scena è fondamentale per l’approccio artistico di Martina Wolf. Il luogo in cui ha origine un lavoro e la relativa realtà sociale e politica che vi si trova svolgono un ruolo spesso costitutivo. Con precisa consapevolezza delle specificità di un luogo, l’artista trasforma osservazioni e percezioni reali in situazioni esemplari. La precisione formale delle sue trasposizioni mediali è essenziale. Soprattutto quando lavora con una telecamera ferma, l’inquadratura è decisiva per la composizione dell’immagine. Martina Wolf sceglie talora una posizione vicina della videocamera, come in LENIN.  Moskau, talora la colloca a una certa distanza come in TISCH. Algier (TAVOLA. Algeri) [2009], in cui ritrae dal quarto piano un gruppo di giocatori di carte seduti ad un tavolo rotondo, con un’estrema ripresa dall’alto. Spesso il cadrage coglie elementi della struttura interna dell’immagine. Così l’inquadratura iniziale di PRAWDA [2009] mostra una fermata deserta della metropolitana nei sobborghi di Mosca: banchina, griglia di protezione ed il cartello con il nome della fermata –“Prawda”, verità, come si chiamava anche il più importante quotidiano russo durante il regno sovietico – formano uno schema ortogonale la cui struttura verticale viene integrata dai tronchi delle betulle sullo sfondo. Questa composizione dell’immagine rigida e dall’effetto costruttivistico viene progressivamente animata dai passeggeri che affollano la banchina. Sono in attesa del loro treno, mentre in primo piano, direttamente davanti alla videocamera, passano frusciando i treni, che per un attimo nascondono alla vista ciò che avviene dietro ovvero consentono solo brevi scorci. Dei treni si fermano sul binario di fronte e fanno salire i passeggeri; nell’inquadratura finale la banchina è di nuovo deserta. Analogamente, in Bus-Station [2010] le travi d’acciaio di una fermata dell’autobus a Mosca raddoppiano la linea verticale dell’inquadratura, la parete posteriore della fermata taglia il margine orizzontale dell’immagine diagonalmente, mentre i biglietti di annunci attaccati alla parete svolazzano leggermente nella corrente d’aria. In Rote Linie / Krasnaja Linia [2009] la Wolf introduce invece volutamente nel grigio di un quartiere di palazzoni alla periferia di Mosca un momento di casualità che spezza l’ordine schematico. Di traverso su un campo sportivo ricoperto di neve c’è un nastro di tulle rosso. La gente vi passa accanto, alcuni non si accorgono nemmeno del nastro, altri ne sembrano sorpresi, oltrepassano intenzionalmente la “linea rossa”. Per 25 minuti la videocamera riprende il nastro che viene mosso lentamente dal vento sul campo. All’inizio forma una linea parallela al margine sinistro dell’immagine. Nel corso del video il vento gli fa formare le linee più disparate, che sul fondo bianco hanno l’effetto di disegni nello spazio e alla fine lo sospinge dolcemente fuori dal campo dell’immagine.

IV. È tuttavia nelle Fensterbilder (immagini di finestre) di Martina Wolf che colpisce maggiormente l’interazione tra inquadratura e struttura interna dell’immagine. Che sia nel suo attuale luogo di residenza a Francoforte sul Meno, a Dresda, nell’Ohio, ad Almaty, Mosca o nell’italiana Olevano, dove l’artista ha soggiornato più volte nel 2012 e nel 2013, le finestre sono un elemento ricorrente nella sua opera. Come collegamento tra l’interno e l’esterno, sono motivo e mezzo di realizzazione figurativa al contempo. Un topos classico del processo creativo dell’immagine di un tempo, la finestra mostra uno scorcio del mondo percepibile all’uomo. Essa inquadra e limita la vista ed è quindi al tempo stesso una riflessione su come l’architettura e le immagini veicolano la nostra percezione. Se la finestra in Leon Battista Alberti era la metafora della pittura dell’età moderna di una concezione dello spazio definita con una prospettiva centrale, la Wolf nei suoi video e nelle sue fotografie che lavorano con il motivo della finestra crea spazi complessi, pluriprospettici. Vedute di paesaggi urbani e architetture reali si sovrappongono alle loro immagini riflesse sulla finestra aperta nello spazio interno in cui è posizionata la videocamera. Nel campo dell’immagine video esse si accavallano in una struttura spaziale sconcertante, che muta costantemente. Attraverso il lento movimento di un’anta della finestra, ad esempio in ALMATY_haus [2008], nell’immagine riflessa appaiono scorci sempre diversi dell’architettura circostante, mentre il panorama urbano di Francoforte entra lentamente nell’immagine come in Frank­furter Fenster [2009]. La videocamera è ferma, eppure la sequenza ha l’effetto di una lunga carrellata. Le distorsioni e i raddoppiamenti del riflesso ed il lento fluire delle immagini creano una situazione di incertezza, che nel continuo alternarsi di apparizione e scomparsa, opacità e trasparenza genera un momento di tensione narrativa, senza tuttavia seguire una vera e propria trama.

In alcune opere video la Wolf utilizza come ulteriore elemento della composizione dell’immagine delle veneziane che gradualmente nascondono e tornano a liberare la vista. In Sichtblende I o Hausaufbau VII [entrambe del 2006, Francoforte sul Meno] le veneziane automatiche regolano come diaframmi fotografici la quantità di luce e di “spazio esterno” che appare nell’immagine. L’analogia tra veneziana, diaframma fotografico e le caratteristiche tecniche dell’immagine video non è ovviamente casuale. Così la finestra completamente coperta da una veneziana chiusa in Ausblick Columbus / Ohio I e II [2007] richiama nella sua articolazione orizzontale la struttura a righe del video e la lenta apertura nella scena iniziale ha l’effetto di un leggero sfarfallamento, un effetto che normalmente si tende a evitare. Qui tuttavia “l’immagine disturbata”, il lento aprirsi e chiudersi della veneziana, mostra in modo esemplare come la realtà spaziale attraverso il mezzo del video diventa bidimensionale e soltanto attraverso l’indolenza dell’occhio si ottiene di nuovo l’illusione della profondità. La visione del mondo è mediata, percepibile soltanto attraverso lo schema di uno sguardo che si posa davanti alla realtà trovata, la struttura e la ordina.

Le strutture spaziali riflesse, dissolte e sovrapposte di Martina Wolf nella loro astrazione e nel loro straniamento sembrano avulse dall’ambiente reale e ciò nonostante rimangono concrete. Così l’osservatore riconosce dettagli dello skyline di Francoforte, vede il rigido reticolato delle strade caratteristico delle grandi città statunitensi, colloca mentalmente l’imponente caseggiato in tipico stile prefabbricato nella zona di influenza dell’ex Unione Sovietica, in considerazione delle sue decorazioni ornamentali. Già quasi ossessivi nella messa a fuoco del loro soggetto, i video mantengono al tempo stesso la distanza. Spesso all’estero per lunghi soggiorni, Martina Wolf utilizza e produce una sensazione di estraneità, che affina lo sguardo per ciò che è quotidiano e familiare nella ripetizione e che in fondo si basa su convenzioni sviluppatesi nel corso del tempo. Come osservatrice la Wolf assume un punto di vista esterno all’accaduto ed è al tempo stesso in mezzo ad esso, soprattutto se lavora in uno spazio pubblico. La sua posizione come artista corrisponde in un certo qual modo alla funzione ibrida della finestra che segna e mette in risalto spazi diversamente definiti. Nel definire cornici e confini e rendendoci consapevoli della loro presenza, l’artista offre alla realtà esistente un palcoscenico su cui si presentano i rituali della quotidianità e la loro fugacità.

V. Il tempo svolge qui un ruolo centrale. Effettivamente le opere video di Martina Wolf, per lo più senza sonoro, producono una radicale decelerazione della percezione. L’artista elude consapevolmente le convenzioni del cinema come la carrellata, il montaggio, la dissolvenza incrociata. Di regola la Wolf lavora con una videocamera fissa. Il movimento ha origine attraverso elementi scelti intenzionalmente o casuali nell’inquadratura prestabilita, che siano l’acqua di una fontana a getto, i riflessi della luce su una statua o i passanti in attesa di un treno. Per lo più i film consistono in un’unica lunga inquadratura senza montaggio. La Wolf lavora spesso in serie, avvicinandosi al suo soggetto in diverse inquadrature. Un esempio paradigmatico di questo modo di procedere è Spielfeld (Campo da gioco) [2009]. Nell’arco di un anno la Wolf ha filmato dalla finestra del suo appartamento di allora in un quartiere della periferia moscovita. Sceglie sempre la medesima inquadratura dalla stessa posizione della videocamera. Riprende un campo sportivo con una struttura per arrampicarsi, dietro ad esso una scuola e un caseggiato nonché una fila di alberi. Anche qui la vista reale si combina con il suo riflesso sul vetro della finestra; la cerniera diventa giuntura, in cui si scontrano realtà ed illusione. Il telaio della finestra raddoppia il cadrage dell’immagine video, l’interno del video viene ulteriormente strutturato attraverso due alberi paralleli alla linea verticale del telaio. Attraverso questa cornice sempre uguale, l’attenzione si concentra sulle variazioni e sui cambiamenti nel campo dell’immagine nel corso delle riprese: l’alternarsi di luce e ombra, il germogliare degli alberi dopo che si è sciolto il manto di neve, il variare dei colori del fogliame dal verde tenue primaverile al verde scuro dell’estate al giallo e marrone dell’autunno, l’abbigliamento dei passanti. L’artista struttura attraverso il movimento dell’anta ciò che accade nella realtà davanti alla finestra: adulti che attraversano la piazza nel loro consueto percorso quotidiano, giovani che praticano sport, mamme che giocano con i loro bambini, uccelli che svolazzano nelle chiome degli alberi. Martina Wolf trasforma la finestra in un apparecchio ottico che a seconda di ciò che accade davanti ad essa può produrre sorprendenti momenti narrativi e una tensione straordinaria. A seconda dell’angolatura lo spazio reale e riflesso diventa ampio o stretto, al lento chiudersi della finestra uno spazio nero si sposta nell’immagine come una dissolvenza in chiusura o al contrario l’immagine viene quasi completamente scoperta. La Wolf varia il movimento dell’anta della finestra, sviluppa la drammaturgia delle sequenze del film dal gioco combinato degli eventi casuali davanti alla finestra e della loro messa in scena attraverso il movimento dell’anta. Così si creano salti e slittamenti temporali. A seconda che le persone si avvicinino al campo dell’immagine da destra o da sinistra, il riflesso anticipa la loro apparizione o ha l’effetto di un’immagine postuma, di un’impressione persistente. Diversi spazi temporali si accavallano, sfasati solo per un breve attimo. Nella ripetizione e variazione degli avvenimenti si riconosce lo scorrere del tempo e la visione diventa consapevole.

VI. Immobilità e movimento, variazione, cambiamento e durata sono dunque elementi fondamentali per il modo di lavorare di Martina Wolf. Questo vale anche per il suo ultimo gruppo di opere del 2012/2013. Teatro della scena è una scuola abbandonata nel piccolo borgo di Olevano Romano, nel Lazio. Situato sul pendio del Monte Celeste, da qui si gode un’ampia vista sul paesaggio culturale collinoso italiano che nel tardo XVIII e nel XIX secolo rappresentava il classico motivo nostalgico per numerosi pittori dell’Europa del nord, tra cui il gruppo dei cosiddetti tedeschi romani. Martina Wolf sceglie di nuovo come soggetto il motivo della finestra.
Articolata in singoli elementi quasi quadrati attraverso controventature nere, la struttura della finestra ricorda le composizioni di Piet Mondrian, un’associazione che viene rafforzata dal blu di una veneziana nel riquadro superiore della finestra. Questa struttura razionale viene spezzata dall’arco a tutto sesto del rivestimento della facciata e dal paesaggio ameno, le cui catene montuose si perdono nella foschia dalla prospettiva aerea. La Wolf filma e fotografa tutte le finestre della scuola, che con le loro veneziane parzialmente rotte e i telai danneggiati danno un’impressione veramente desolata. Il tempo si manifesta qui anche in un’estetica della decadenza.

Il movimento è minimo. Rimane limitato ai moti casuali che avvengono nel campo dell’immagine durante le riprese, nello spazio interno o nello scorcio di paesaggio che la finestra fa intravedere: gli spaghi degli avvolgibili che oscillano nell’aria o le auto che si inerpicano su una strada di montagna. La Wolf immortala le finestre in diverse condizioni di luce e meteorologiche. In qualche ripresa alcune porzioni delle finestre sono ricoperte di condensa che forma piccoli rigagnoli pittoreschi. Il paesaggio in parte scompare dietro un velo di sfocatura ed è sottratto alla percezione diretta, un effetto che ricorda due serie fotografiche dell’artista del 2004. Con restrizioni e pitture sovrapposte l’artista blocca la vista e l’asse visivo sul paesaggio urbano di Francoforte, dipingendo completamente o in parte le finestre e lasciando libera la visuale solo in alcuni punti o cambiando radicalmente la percezione della città cancellando in modo mirato singoli elementi dal campo visivo. Nei suoi lavori di Olevano la Wolf punta ora a variazioni e modifiche offerte dall’ambiente edificato e naturale trovato sul posto. A volte entrambe le ante della finestra sono chiuse, a volte è aperta quella destra, poi quella sinistra. Ogni dieci secondi la Wolf fotografa per un determinato arco di tempo queste diverse costellazioni, una sequenza d’immagini ferme che ha intenzione di montare in un film. Immagini ferme in movimento. Al contempo hanno contribuito al suo progetto le variabili condizioni atmosferiche. La pioggia faceva sprofondare il paesaggio idillico di un tempo nel vapore nebuloso, abbandonandolo simbolicamente all’oblio, mentre il sole lo riportava alla luce. Ciò che percepiamo, lo si vede anche qui, dipende da concrete condizioni, prospettiva, mezzo e contesto. Nell’opera di Martina Wolf questa visione sempre anche politica diviene un piacere intellettuale e dei sensi.

Note
[1] Italo Svevo cit. in Aleida Assmann, Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, Monaco 1999, pag. 17.
[2] Ibidem, pag. 29.
[3] Di LENIN. Sankt Petersburg [2009] esistono altre due versioni, filmate dalla parte posteriore della fontana a getto. Anche qui gli zampilli si levano in alto, tuttavia nell’immagine la statua rimane immutata, mentre un palloncino rosso si muove sull’acqua. Nella seconda versione una netturbina spazza la piazza accanto alla fontana che al momento non è in funzione: per Martina Wolf una reminescenza di una caricatura del 1920 in cui Lenin spazzava via dal pianeta preti, monarchi e capitalisti.
[4] L’ambivalenza del pensiero ufficiale è anche il tema di un lavoro realizzato dalla Wolf nel 2011 durante un soggiorno a Dubrovnik. Il soggetto centrale è il monumento inaugurato nel 2008 per i “difensori di Dubrovnik” nelle guerre dei Balcani degli anni novanta: un cubo con proiezioni LED. In omaggio all’ode alla libertà popolare a Dubrovnik, esse mostrano una serie di immagini marine astratte, a cui si sovrappone progressivamente la bandiera di Dubrovnik. Di concreto è stato realizzato unicamente un adesivo applicato da un anonimo che solidarizza con Ante Gotovina, condannato come criminale di guerra in primo grado dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja nel 2011 e assolto in seconda istanza nel 2012.
[5] In una serie fotografica del 2011 la Wolf varia questa procedura. Scompone in 15 parti un’altra immagine composta digitalmente da molti singoli fotogrammi e le presenta in serie. La visione complessiva del soggetto, una finestra rotta nel club di calcio croato nella città bosniaco-croata di Mostar, può essere solo immaginata dall’osservatore. La suddivisione crea un maggiore grado di astrazione e aumenta l’attenzione per il dettaglio: gli spigoli taglienti del vetro rotto, vedute dell’architettura, i riflessi dei graffiti sulle pareti di un edificio antistante.

Astrid Wege
IMMAGINI FERME IN MOVIMENTO.
Sulle opere video di Martina Wolf
Catalogue: Martina Wolf. Works 2000–2014.
Verlag für moderne Kunst. Nürnberg. 2014